Per fare link building basta creare tanti siti e linkarsi il proprio. Forse

No, non è proprio così. Ma bisogna fare i conti con la realtà delle cose, a volte.

Per fare link building basta creare tanti siti e linkarsi il proprio? In effetti moltissimi fanno così (non faccio nomi per cortesia e buonsenso, ma sono in misura equa singoli professionisti SEO e agenzie): creano dei network di siti in cui installano WordPress, li mettono online e li “popolano” con contenuti di ogni genere. Questo genere di siti è alla lunga riconoscibile ad un occhio abbastanza allenato, per cui è plausibile che si tratti di siti che potrebbero rivelarsi penalizzanti.

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Questo modello basato sul network dei siti è diffuso quanto concepito male, perchè richiederebbe l’adesione ad una serie di complessi requisiti utili per fare le PBN e, spiace riconoscerlo, molti di quegli editori non hanno nè voglio avere le adeguate competenze tecniche per fare le cose a regola d’arte (no, non basta creare i siti in WordPress su IP diversi: i siti vanno curati da ogni punto di vista, ed andrebbe fatto uno sforzo editoriale anche minimo su ognuno di essi).

Gli errori tecnico-strategici che rilevo nella maggioranza dei casi dei network di siti italiani (che, lo ricordiamo, sono potenzialmente penalizzanti sia per chi li offre che per chi si fa linkare in modo spudorato), in effetti, sono i seguenti:

  • si linkano tra di loro, per “potenziarsi”, cosa che andrebbe fatta quantomeno con criterio e certamente non via link sitewide a chiave esatta (sì, si fa ancora questo, a volte);
  • sono a volte strutturati male (ad esempio con più categorie che articoli),
  • contengono poca roba
  • producono poco o nessun traffico (non sono pensati adeguatamente dal punto di vista SEO ed editoriale, e questa è una pecca tra le più diffuse)
  • sono palesemente quasi tutti articoli venduti
  • sono spesso pensati per gonfiare in modo artificiale metriche come la ZA (questa è una verità che difficilmente viene riconosciuta, e non approfondisco la questione per non divagare dal focus dell’articol)
  • in certi casi è la forma-articolo media a non funzionare, a mio avviso: se intitoli un articolo con la parola chiave che vorresti posizionare è abbastanza illogico, si capisce che è un sito di guest post o contenitore, e sorprende quanto questa soluzione sia ancora diffusa ed addirittura marketizzata da alcune agenzie proprio in questa veste.

Ho fatto il “criticone” e me ne assumo le responsabilità, dato che mi serve a capire e far capire come secondo me sarebbe meglio fare link building.

Fermo restando che nessuno è infallibile (tantomeno il sottoscritto) e che attecchiscono a questo modello anche siti indicizzati su Google News (che poi non esitano a pubblicare, per mere ragioni economiche, il solito stantìo articolo sui migliori idraulici a Milano sud), ho sempre pensato che si debba proporre un modello di link building differente.

È altresì chiaro che il modello di gestione alla base della propria strategia di link building è influenzato da svariati fattori, e da eventuali partnership o “alleanze” con giornali online, riviste di settore e blog particolarmente popolari. La tendenza generale, comunque, mi pare che oscilli tra due estremi: da un lato blogger a cui si cerca di elemosinare un backlink (proponendo in certi casi contenuti francamente scadenti e giocando quasi esclusivamente sull’insistenza, o su tecniche di marketing e comunicazione manipolative), dall’altro agenzie in partnership con quotidiani molto noti che vendono link a prezzi esorbitanti (e se li vendono a tutti a quel prezzo, alla lunga potrebbe non valere nemmeno la pena acquistarli).

Come fare link building per bene? Ho sempre pensato che prima di tutto una attività di link building debba essere una consulenza vera e propria, senza se e senza ma. In secondo luogo un link builder deve essere in grado non solo di rivendere guest post da siti propri ed altrui, ma anche di procacciarne di altri tipi via forum, community di domande e risposte, blog “artigianali” e via dicendo. Molti link builder vedono questa attività come piazzisti che cercano di venderti il prodotto seguendo il modello di business “signò, è un affarone“, ma personalmente per me non funziona così. È anche vagamente insultante per la categoria, per certi versi, continuare a seguire questo meccanismo, e sarebbe ora di darsi una svegliata e cambiare rotta.

Foto di Diego Velázquez da Pixabay

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Salvatore Capolupo

Ingegnere informatico dal 2006.