Non si esce vivi dallo spam update di Google (forse)

Ho letto l’articolo ufficiale dell’altro ieri, dal blog di Google, A reminder on qualifying links and our link spam update, e mi è venuto in mente di fare un po’ di considerazioni in merito. Non fosse altro che è un argomento mai abbastanza dibattuto, eviterò di sezionare quell’articolo troppo nel dettaglio e mi concentrerò su un passaggio davvero fondamentale, secondo me.

I link te li devi “meritare” (…cioè?!)

Da quello che scrive Google nel comunicato ufficiale, infatti,

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i backlink sono uno dei modi in cui Google capisce quali contenuti possono essere utili per chi cerca sul web, e possono essere utili per i siti purché siano “meritati”. Una best practice consiste nell’evitare metodi di acquisizione di link che violano le nostre linee guida contro gli schemi di link. In particolare, se stai collegando ad altri siti, assicurati di qualificare tali collegamenti in modo appropriato.

È un concetto abbastanza semplice quello espresso da Google, ma è ampiamente travisabile e fraintendibile dai più. Col fatto che Google tende a rilasciare dichiarazioni nel merito che tendono alla supercazzola, infatti, si dimenticano inconsapevolmente di utilizzare le giuste parole. E che il registro comunicativo dell’azienda non sia più, ormai da anni secondo me, adeguato ai tempi ed alla natura dei webmaster è un dato di fatto.

Eppure, nonostante tutto, l’uso di circonlocuzioni come

(i backlink) possono essere utili per i siti, purché siano “meritati”

oppure

(se vuoi linkare altri siti web devi) qualificare quei collegamenti in modo appropriato

persiste, tanto da diventare quasi un “marchio di fabbrica”. Non indago ulteriormente sui perchè di questi giri di parole, ma ho la mia idea in merito: quello di Google è linguaggio istituzionale, ed è “per definizione” irrazionale. Segnalo a riguardo – piccolo inciso divulgativo – il libro Irrazionalità di Stuart Sutherland, il quale dedica un capitolo intero alle follie illogiche insite nella gestione della pubblica amministrazione, e in ambito “aziendalese” più in generale. Cose della serie: la trasparenza non viene adottata perchè non da’, nei fatti, benefici diretti ai funzionari. Oppure, peggio ancora, se il mio capo ha idee autolesionistiche o folli io, dipendente, mi adeguo, anzi le estremizzo per compiacerlo – dato che diversamente avrei paura di perdere il posto. Chi scrive a nome di Google, salvo specifiche eccezioni, secondo me è anche frenato da qualche NDA aggressiva o dal fatto che, semplicemente, deve farlo senza capire perchè.

Nella seconda affermazione di Google – in seguito parlerò della prima, che è un po’ l’ancora di salvezza della situazione, secondo me – si fa chiaramente riferimento all’uso del rel=sponsored (che andrebbe usato per i link sponsorizzati) e rel=nofollow (che è il classico attributo HTML con cui si indica a Google di “non seguire” il link, ovvero di non “dargli retta” in termini di ranking).

Ma chi lo farebbe davvero, oggi? Molti hanno osservato che usare apertamente il rel=sponsored è un po’ come auto-denunciarsi, e per quanto l’osservazione sia un po’ ruvida è in parte vera. A meno che non si consideri figlia di un ragionamento che più circolare non si potrebbe:

  1. vendere link è genericamente non buono per Google (affermazione molto paracula e, di per sè, inesatta: la vendita sarebbe consentita, se solo si usassero gli attributi rel=sponsored!)
  2. Google ti invita a fare uso di un attributo per riconoscere i link manipolativi
  3. pero’ no, aspetta, se usiamo rel=sponsored o rel=nofollow non saranno più manipolativi!!11
  4. non lo fa nessuno!!111
  5. torna a punto 1.
Il robottino di Google sta evidentemente pensando: ma davvero scrivete ancora i guest post con anchor text "migliore pizzeria nomentana"?
Ehi, davvero scrivete ancora i guest post con anchor text “migliore pizzeria nomentana“?

Le regole fatte per… essere infrante

A questo punto vorrei evidenziare un sostanziale paradosso che molti di noi vivono inconsapevolmente: quando ti chiedono backlink, in effetti, in genere “esigono” proprio il contrario – che NON ci debba essere il rel=sponsored, che NON ci sia l’indicazione sponsorizzato e che NON ci sia il rel=nofollow. L’esatto contrario di quello che scrivono in quel comunicato, in effetti, eppure il mercato si basa da sempre su questa assunzione invertita – e questo, alla lunga, ha causato più danni che altro. Questa posizione è al limite dello schizofrenico, dato che tutti facciamo i “signor sì” quando leggiamo quelle indicazioni di Google salvo poi comportarci esattamente all’opposto (il che ricorda parecchio i tempi del proibizionismo, in cui vietare X era un modo per incentivare l’uso sottobanco di X).

Il piccolo dettaglio sfuggente – e secondo me ad oggi quasi non risolvibile – sta proprio nel fatto che molti blog (almeno tra quelli che monetizzano grazie ad attività editoriali di link building ed affini) NON POSSONO, nei fatti, adeguarsi alle regole di Google, e questo perchè se lo facessero non riuscirebbero a vendere praticamente nulla. Le circonlocuzioni ed i giri di parole propinati da Google per anni hanno portato ad un mercato fatto di regole create per essere infrante, praticamente solo di facciata, in cui il ruolo dei SEO non sembra diverso, per assurdo, da quello del croupier di un casino (contro il quale puoi sfogarti a vuoto se il numero giusto non esce, e che non sei tenuto a ringraziare se le cose dovessero andare bene).

Questo ovviamente svaluta l’intero settore perchè, in queste condizioni, può essere davvero difficile erogare consulenze – e in certi casi “nati male”, come dico sempre, nemmeno conviene iniziarle.

Questa doppiezza, che si sarebbe potuta risolvere facilmente approcciando la questione link in modo più lineare (per fare un altro esempio, il rel=nofollow è da anni che viene travisato nell’uso perchè nell’ottica di molti quei link “non valgono niente”, quando è risaputo che avere solo backlink dofollow sia ampiamente rischioso e le cose vadano sempre bilanciate), finisce peraltro per fomentare i tanti ciarlatani & imbonitori del settore, che sguazzano nel caos e nell’ambiguità, si costruiscono il personaggio del “bandito” che ruba ai ricchi per dare ai poveri clienti, e usano un registro comunicativo ambiguo, basato sull’assunto che esistano quelle regole ma siano fatte per essere violate. Sempre in prima linea a sottolineare “il trucchetto”, “l’imbroglio”, il fatto che a loro non la si fa, il fatto che la SEO sia un’attività in contrapposizione a “Google cattivo” – il tutto, nei fatti, “grazie” anche a Google che alimenta il più classico dei ragionamenti auto-conclusivi: se quelle regolette fossero applicate alla lettera, alla fine dei conti, sarebbero molto pochi ad essere ancora presenti sul mercato.

Il che ha portato ad un mercato sempre più deregolamentato, dove sempre la stessa gente cerca di comprarsi link solo per rivenderli altrove, usando mail fake o fingendo di essere una persona molto avvenente (il bias secondo cui una persona piacente sia anche affidabile è davvero duro a morire). Lavoriamo in parte in un far west in cui tanti clienti faticano a capire la differenza tra il ragazzino che rivende link a buffo da pochi mesi e chi cerca, invece, di fare questa attività con competenza, professionalità, a costo decente & dopo anni di esperienza. Non chiedetemi a questo punto la soluzione definitiva al problema perchè davvero, ad oggi, non sono riuscito a trovarla.

Link building morta? No, per fortuna

Per fortuna, se non altro, c’è anche un’altra faccia della medaglia, che consiste nella prima affermazione che ho evidenziato:

(i backlink) possono essere utili per i siti, purché siano “meritati”

che d’accordo, è una supercazzola per molti versi, ma si può usare a nostro vantaggio almeno in parte:

  • evitando le forzature nell’acquisizione di link:
  • evitando di linkare 300 volte lo stesso sito da una singola pagina, se non strettamente necessario;
  • scrivendo articoli coerenti con le anchor text;
  • limitando l’uso, se possibile, delle anchor text esatte (o peggio ancora, di infilarle in un testo in cui “si capisce” che sono usate in modo manipolativo).

Photo by Daniel Mingook Kim on Unsplash

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Salvatore Capolupo

Ingegnere informatico dal 2006.