Perchè essere un bravo copy non fa di te un SEO

Secondo un diffuso detto chiunque, sul web, può scrivere su qualsiasi cosa: in effetti bisognerebbe capire i limiti entro cui valga davvero, questo detto, soprattutto nei tempi complicati che viviamo oggi, regno del clickbait e delle notizie riportate sui blog e sulle testate online con scarsa etica e tanta avidità ed egocentrismo. Il titolo di questo articolo in effetti vuole essere almeno in parte provocatorio, ma tratta un argomento delicato come la gestione dei contenuti nel nostro sito, spesso affidata a fantomatiche tecniche di scrittura SEO (che in effetti sono quasi sempre fuffa) che fanno, a mio avviso, l’errore di essere avulse dal contesto, trattando la lingua italiano come se fosse un linguaggio di programmazione e risultando più limitative per la creatività del copy che altro.

La parola copywriter, peraltro, è abusata: il copy era colui che scriveva testi pubblicitari, e molti copy tendono ad interpretare i loro contenuti come mera “pubblicità” per le aziende. Cosa secondo me frutto di una visione miope, per non dire completamente fuorviante, affibiata impropriamente a come scrivere per il web oggi. Ho insistito in più occasioni su un aspetto fondamentale, a riguardo: il copy per vendere è importante nelle strategie di Google Ads o Facebook Ads, al limite per la cartellonistica, ma nell’ambito del traffico organico questo discorso vale tanto e non quanto. Il traffico organico infatti vive poco sugli slogan e sulla comunicazione aziendalese, e molto più su ciò che attrae gli utenti ed alimenta la loro search intent: ne è una prova lampante, del resto, il dilagare di tecniche clickbait che ormai chiunque adotta, usando titoli smezzati che attraggono l’attenzione del lettore per poi rivelarsi, anche qui, semplice fuffa. E con la fuffa non si va lontano, secondo me, se non attraendo traffico e conversioni in modo del tutto incidentale.

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In genere la qualità del testo non è una condizione necessariamente decisiva per posizionare un contenuto su Google: certo, un testo ben scritto ad esempio potrebbe aiutare, ma se la nicchia di riferimento tende a scrivere male o ammassando parole chiave (come avviene per certe descrizioni di schede prodotto) è chiaro che potrebbe non bastare. E l’unica accezione in cui secondo me, ad oggi, ha senso parlare di SEO copywriting è quella annessa alla capacità di scrivere testi non tanto inzuppati di parole chiave in modo asettico quando incentrate sulla search intent, sugli interessi e le necessità effettive di chi cerca. Cosa che si fa analizzando dati, facendo confronti o brainstorming, rivedendo le strategie in modo critico e facendo attività che vanno molto al di là del – sia pur rispettabilissimo – “saper scrivere“.

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Le assunzioni che molti formatori SEO e manualistiche annesse, per quanto autorevoli e ben scritte, sono in molti casi fuorvianti: se semplifichi troppo un argomento, sia pur col nobile scopo di essere comprensibile ai più, farai passare l’idea che esistano, ad esempio, testi “persuasivi”. Mi ha sempre fatto sorridere questa idea, come se un testo potesse condizionarti al punto da spingerti all’acquisto. Va benissimo mantenere alta la soglia di attenzione, scrivere in modo comprensibile e senza dettagli poco utili, usare il corretto registro comunicativo, chiaramente, ma da qui a rendere un testo persuasivo nel modo bislacco in cui, secondo me, molti lo intendono o vorrebbero intenderlo, ce ne passa. Questi approcci vagamente “miracolistici” ai testi per il web hanno un po’ di problemi: danno troppo per scontato, anzitutto, che il pubblico abbia voglia di leggere (quando, in molti casi, legge a malapena i titoli delle pagine). In secondo luogo, dimenticano che il testo verrà letto non soltanto da un motore di ricerca (che, cosa che molti non sanno, legge in modo sempre più simile alle tecniche di lettura usate dagli esseri umani, inclusa la lettura veloce; alla lunga scrivere un testo per i motori di ricerca e non per gli utenti non avrà più alcun senso). In terzo luogo, si basano sull’idea che uno compri “a comando”: della serie, se inserisco un’anchor text adeguata all’acquisto sicuramente otterrò delle conversioni o lead. Le cose in effetti, a quest’ultimo riguardo, sono molto più complesse, dato che:

  • rientrano valutazioni di imprevedibilità di ogni acquisto, spesso troppo trascurati dai marketer o ridotti a psicologia spicciola;
  • non sempre il funnel di conversione è lineare: per intenderci, se leggo un articolo sui “migliori servizi di hosting” potrei salvarmi le offerte, pensarci un po’, parlarne con un amico bravo col computer e fare un acquisto differente molto tempo dopo;
  • potrei leggere la descrizione di un prodotto o servizio, farmela piacere e decidere di comprare in seguito – nel frattempo potrei comunque valutare altre offerte, oppure (nel caso del dropshipping) decidere di acquistare i prodotti originali e non quelli dei reseller, invalidando così qualsiasi tecnica “persuasiva” del caso.
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Ovviamente non voglio “infierire” sull’argomento dato che, ovviamente, non è mia intenzione farlo per il gusto di farlo: rimane giusto una considerazione critica su come questo mondo, quello della scrittura per il web, sia a volte sopravvalutato o peggio ancora viziato da un errore di attribuzione: chiediamo ai testi per la SEO di fare qualcosa che, in molti casi, neanche possono fare al 100%. Ci sono in ballo, in somma, considerazioni di marketing e di SEO tecnica che vanno molto al di là dell’inserire la keyword nel title o nell’H1.

I testi per il web, poi, a differenza di quelli dei libri e dei quotidiani, possono/devono essere aggiornati periodicamente, in modo da inseguire le tendenze del momento, se possibile, oppure semplicemente perchè gli argomenti sono diventati obsoleti nel frattempo. Al tempo stesso, possiamo decidere di scrivere su un trend, possiamo inseguire keyword stagionali, possiamo puntare semplicemente ad aumentare il traffico generalistica per poi focalizzarci sulle keyword che mostrano di funzionare meglio.

Ecco perchè, secondo me, essere un bravo copy non fa di te necessariamente un SEO: certo, la qualità e la search intent restano fondamentali ma bisogna anche sforzarsi di entrare nell’ottica del pubblico, fornendo contenuti gratuiti per attrarre più persone e costruire una fanbase che, all’occorrenza e dopo averla fatta “maturare”, possa finalmente arrivare al sospirato lead.

Foto di Free-Photos da Pixabay

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Salvatore Capolupo

Ingegnere informatico dal 2006.