Come pubblicare contenuti SEO friendly

La pubblicazione di articoli SEO friendly è, in genere, intesa come quel tipo di attività mirata alla scrittura “a livello SEO“, per così dire, di contenuti all’interno del nostro sito, in modo che possano posizionarsi al meglio. Questo genere di attività include vari tipi di contenuti come la scrittura delle pagine prodotto di un e-commerce, la stesura di FAQ tematiche, l’intero piano editoriale del proprio blog aziendale e così via. Quello che vorrei inquadrare in questo articolo cerca di focalizzare meglio cosa si intenda per “SEO friendly“, in questo ambito, e soprattutto coi tempi che corrono.

Che sono sono gli “articoli SEO”

Formalmente gli articoli sviluppati in chiave SEO rispettano una serie di requisiti tecnici (title, meta-description, ecc.) ma, soprattutto, sono focalizzati sul target di utenza (search intent) a cui il contenuto si rivolge.

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È sbagliato, in genere, pensare che basti scrivere title e meta-description per aver fatto un buon lavoro, in questo ambito. Per farlo, infatti, bisogna pensare non tanto alle keyword (che ad oggi sono un aspetto quasi sopravvalutato rispetto alla sostanza, e che un SEO usa in senso sempre meno restrittivo: bisogna poter lavorare con le mani libere, in questo mestiere, per ottenere i migliori risultati), quanto alla “funzionalità” del contenuto rispetto alle aspettative delle persone da cui vogliamo essere trovati. Non sempre, ad esempio, contenuti ben scritti in italiano si posizionano dove pensiamo che meritino: in molte nicchie, infatti, la grammatica non sembra essere vista come un fattore di posizionamento, perchè la proporzione andrebbe sempre fatta rispetto a ciò che hanno fatto i competitor posizionati prima di noi. Per lo stesso motivo, si possono posizionare tranquillamente anche contenuti scritti “male” (per esempio: i testi ridondanti presenti nei siti per adulti e su alcuni comparatori di testo), ammesso insomma che i competitor mostrino di aver fatto lo stesso (spammando, di fatto, ma tant’è).

Come si scrive un articolo per la SEO?

In un certo senso, la domanda è malposta.

A leggere come l’attività di copy SEO viene proposta da molti, nonostante parecchia acqua sia passata sotto i ponti, troppi, ancora, intendono lo scrivere in ottica SEO come una presunta (e solo immaginaria) “tecnica di scrittura“, legata alla pubblicazione di un articolo in cui, alla fine, cerchiamo di infilare le parole chiave che ci interessano e, in un certo senso, finisce tutto lì. Ci sono tool in tal senso che vengono molto utilizzati, ad esempio, per verificare la coerenza del numero di parole chiave all’interno di title, meta-description, testo, heading e così via. Ma se si potesse usare un tool per scrivere articoli che poi si posizionano al 100%, sicuramente qualcuno ne avrebbe già inventato uno – e sarà curioso scoprire, ad esempio, come verranno trattati da Google gli articoli che, secondo varie fonti, saranno prodotti da un’intelligenza artificiale in grado di scriverli ed argomentare (come questo del quotidiano The Guardian pubblicato a settembre 2020, ad esempio).

Il discorso dell’ottimizzazione degli articoli in senso molto stretto – metti la keyword a sinistra nel title, mettì l’heading così e cosà – ha il vantaggio di essere (…o di sembrare 🙂 ) una cosa semplice ed alla portata di tutti, ed è sicuramente vero che Google su certe SERP tradizionalmente difficili da trattare è, se vogliamo, meno evoluto di quanto voglia sembrare. Questo in parte ci autorizza a fare ragionamenti low level sul testo, e a vedere l’attività di copywriting SEO (qualsiasi cosa intendiamo con essa) come una specie di puzzle che non dobbiamo fare altro se non divertirci a completare. A vedere la cosa in modo più organico, pero’, non possiamo assolutamente fermarci a questo, anche perchè:

  1. un articolo si posiziona anche in funzione di fattori esterni (per esempio, i backlink);
  2. l’ecosistema web è incontrollabile, e non bisognerebbe mai ragionare troppo in “camera stagna”;
  3. lo stesso articolo pubblicato sul mio blog e sul dominio di un quotidiano ha, di fatto, una eco ed un effetto SEO differente.
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Come NON fare la “scrittura SEO”

In realtà, secondo me (e come sottolineato dal video di Taverniti che ho riportato di seguito, che vi invito a guardare, se avete qualche minuto a disposizione), la scrittura di contenuti SEO friendly si presta a travisamenti fuffaroli di vario genere, proprio perchè (per citare Giorgio) l’attività di inserimento delle parole chiave è in fondo soltanto una “cornice”, visto che la valutazione del contenuto da parte di Google è molto più complessa di quanto possa sembrare a prima vista.

Come fare la “scrittura SEO”?

Chiarito che non esiste una tecnica di scrittura vera e propria da seguire, e che scriviamo sempre per gli utenti e Google, alla fine, è solo un mezzo per raggiungere i nostri utenti, lettori o potenziali clienti che siano, ci sono varie considerazioni che possono partire da un articolo pubblicato recentemente nel blog di Google.

L’articolo che viene citato anche nel video evidenzia come, ad oggi, siano in programma una serie di aggiornamenti da parte di Google mirati a migliorare l’esperienza utente, nello specifico individuando (tra le altre cose) i momenti chiave di un video su Youtube (che adesso vengono evidenziati direttamente nelle SERP, in alcuni casi), i cosiddetti passages (i “passaggi” chiave del testo, che vengono spesso evidenziati anche nelle posizioni zero):

 

senza dimenticare l’uso e la valorizzazione dei subtopics, che corrispondono alle sotto-sezioni di approfondimento del testo che, ci suggerisce il blog ufficiale, “aiutano a garantire una maggiore diversità di contenuto quando cerchi qualcosa di generico” (“helps deliver a greater diversity of content when you search for something broad“). Esempi di subtopic di un blog SEO che spiega come fare link building, ad esempio, possono essere i sottoparagrafi che illustrano da dove partire, quali idee sfruttare, come muoversi nell’ambiente e via dicendo.

Ha senso scrivere tutorial nel proprio sito web?

In genere sì, ma in alcune nicchie può essere ostico farlo – questo soprattutto se c’è un problema di marketing sul prodotto che vuoi promuovere, mi permetto di dire, oppure se il tuo prodotto o servizio non ha peculiarità tali da valorizzare il know how, cosa che i siti di guide tendenzialmente, invece, valorizzano.

A leggere queste cose, sembra quasi che soltanto i tutorial possano avere senso in termini di ottimizzazione dei contenuti. Effettivamente non c’è un sito, ad oggi, che non preveda una sezione tutorial a tema o quantomeno una FAQ, anche a costo di sembrare goffi nel farlo (molte guide di WikiHow sono obiettivamente risibili, ad esempio – ma, alla fine, si sono posizionate su Google e ci rimarranno). Molti altri siti, pero’, non sono nelle condizioni di poter accettare un compromesso del genere, magari (o soprattutto) perchè sono convinti che contenuti del genere non gli servano (anche qui, bias cognitivo grande quanto una casa).

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Purtroppo sono molti i colleghi in ambito SEO che, ancora oggi, sviliscono la qualità dei contenuti e sono i primi a creare content farm sfruttando i copy in modo abbastanza becero (una proposta di un noto sito tecnologico, ad esempio, è arrivata anche a me e proponeva di scrivere articoli di oltre 2000 parole, con immagini, a circa 25 € ad articolo: cosa che non ho accettato, ma sono sicuro che qualcuno lo troveranno lo stesso). Se i SEO sono i primi – per assurdo – a non credere nella qualità dei contenuti e nell’idea di soddisfare la Search Intent in modo incisivo a prescindere dalle solite cose su H1, H2, title e meta, realmente non ne usciamo.

Alla fine è anche una questione di equilibrio: produrre contenuti ottimizzati lato SEO, oggi, significa soprattutto venire incontro alla search intent degli utenti (che bisogna anche saper individuare, alla fine, e solo i SEO preparati riescono davvero a farlo) e poi bisogna anche fare lo sforzo di non rendersi ridicoli nel proporre contenuti che, appunto, fanno abbastanza ridere. Ricordo ancora con divertimento un glossario inserito all’interno di un sito di catering, in cui erano presenti definizioni copiate da Wikipedia del tipo “Il matrimonio è un negozio giuridico che indica l’unione fra due persone, a fini civili, religiosi o ad entrambi i fini” e su cui ho ancora qualche piccola perplessità (per usare un eufemismo).

SEO e giornalismo

La diffusione delle attività SEO intese come “scrivere gli articoli in modo tale che siano ottimizzati” ha portato, in molti casi, ad una sorta di contrapposizione tra il mondo del giornalismo e quello dei tecnici. In qualche modo, i primi biasimano i secondi per via di presunti “vincoli” imposti dalla SEO sulla scrittura (che sono totalmente farlocchi, per quanto abbiamo visto), e di rimando i secondi accusano più o meno apertamente i primi di essere rimasti all’editoria su carta stampata di 20 anni fa.

In realtà, al netto delle critiche, delle schermaglie reciproche e dei biasimi, mi pare evidente che molti abbiano capito abbastanza, in realtà, come funziona Google (o quasi: su una SERP del genere, in effetti, ci sarebbero vari discorsi da sviscerare).

La screen che ho appena postato evidenzia in modo lampante, alla fine, che moltissimi quotidiani generalisti – che spesso sono i medesimi che inorridiscono ed hanno pregiudizi quando si parla di SEO – hanno cominciato a buttarsi sul mondo della SEO. Lo hanno fatto come spesso si fa, buttandosi nella mischia e trattando argomenti (in questo caso tratti da un Google Trend di sabato scorso, evidentemente) che, a ben vedere, difficilmente troverebbero spazio in un piano editoriale generalista. Nulla di male nel farlo, ovviamente, ma è bene sapere che la concorrenza è dura e che, soprattutto, spesso chi conosce la tecnica e quello che si nasconde dietro Google (per ciò che è dato sapere, ovviamente) potrebbe avere qualche piccolo vantaggio in più.

A quel punto, pertanto, echeggia la questione che poneva poco fa: la SEO è realmente questione di buttare dentro all’articolo le parole chiave, oppure c’è un discorso più articolato alla base?

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Salvatore Capolupo

Ingegnere informatico dal 2006.