Perché SEO non significa semplicemente “pubblicità su Google”

Molti pubblicitari lavorano anche sul web e, un po’ come fanno alcuni giornalisti old school, tendono secondo me a travisare il senso delle attività SEO. Se è vero, purtroppo, che molti tendono a capirle poco o male, o a farsene un’idea del tutto personale quanto scollegata dalla realtà, è altrettanto vero che molti intendono l’ottimizzazione sui motori di ricerca come semplice “pubblicità online“. L’equazione SEO = pubblicità è tanto diffusa quanto fuorviante, ed è anche leggermente borderline (se vuoi fare pubblicità online, del resto, il mezzo corretto è Google Ads, Facebook Ads e compagnia, per inciso).

SEO: farsi trovare su Google … per una buona ragione

SEO equiparata a semplice pubblicità sui motori di ricerca? Cosa falsa, perchè la SEO opera tra la tecnica e l’arte della corretta comunicazione, mettendosi rigorosamente nei panni di chi cerca su Google, e facendo coincidere la sua search intent (il motivo per cui cerca qualcosa sul famoso motore) con ciò che abbiamo inserito all’interno del nostro sito web.

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Del resto, credo, Google non ha alcun interesse, secondo me, a posizionare bene articoli puramente markettari, motivo per cui (ad esempio) non accetto mai consulenze sulle landing page pure (le pagine di atterraggio con testo molto lungo, in genere, che spiegano i vantaggi di un prodotto o servizio e contengono una call to action finale), proprio perchè secondo me non è possibile nel 95% dei casi effettuare SEO classica su pagine del genere.

Le pagine commerciali di vendita pura devono esistere, ovviamente, ma andrebbero sempre affiancate con contenuti che gli utenti consultano, leggono, cercano su Google – e questo fa parte anche di un processo di fidelizzazione dell’utente, alla fine. Una buona ragione per farsi trovare su Google può essere variegatissima, in realtà:

  1. mostro competenze in quello che vendo e, per riflesso, le persone comprano da me perchè si fidano di me;
  2. propongono approfondimenti sul blog aziendale, e questo induce per riflesso (ancora una volta) competenze di alto livello;
  3. sono in grado di risolvere i problemi delle persone, e questo si nota anche dal blog;
  4. offro prezzi più bassi della concorrenza ed un modo facile per effettuare gli acquisti;
  5. … e via dicendo.

Se la SEO funzionasse in termini puramente pubblicitari, e si posizionasse solo chi scrive l’articolo più altisonante o più zeppo di parole chiave, difficilmente i risultati di Google sarebbero così famosi, creduti affidabili e citati come avviene oggi. Le SERP  (al netto di situazioni in cui lo spam, purtroppo, ancora prolifica) riflettono sempre le necessità di chi cerca, non di chi scrive – ed è questo che molti copy un po’ “caciaroni”, secondo me, tendono a dimenticare del tutto.

La SEO è soprattutto qualità dei contenuti nel senso di search intent

Il concetto di qualità dei contenuti sul web è da sempre una nota dolente per moltissime realtà web, che spesso investono in maniera superficiale sui contenuti e, soprattutto, li pagano due spicci perchè, secondo loro, chiunque è in grado di scrivere per il web e chiunque, magari, è in grado di fare il famigerato copywriting SEO.

Cosa che, alla prova dei fatti, nemmeno esisterebbe – e lo provano le centinaia di migliaia di casi in cui testi scritti male si posizionano tranquillamente su Google, magari sfruttando semplicemente il trust elevato del dominio o chissà qualche altra circostanza più o meno casuale.

Cosa vuol dire “qualità dei contenuti”?

C’è un discorso di qualità nel senso di “qualità della scrittura“, che è vero ma non è semplicemente questo: c’è anche di mezzo la pertinenza dei contenuti rispetto alle ricerche che vengono fatte, come vedremo tra un attimo.

Certo, content is king è uno dei ritornelli eterni del web marketing di ogni ordine e grado, e anche in ambito SEO non c’è eccezione. A leggere i vari blog di marketing e di SEO non c’è consulente o agenzia che non dica di voler investire sulla qualità dei contenuti sul web: tutti la cercano, tutti la vogliono, ma secondo me in pochi sembrano praticarla.

Nella pratica, infatti, la qualità sembra pagare raramente – o comunque essere poco popolare ed altrettanto poco praticata, prefigurandosi così come il classico “predicare bene & razzolare male“. Se investi sulla qualità, peraltro, puoi essere linkato come esperto di un certo settore (link earning o guadagno spontaneo di backlink), opportunità che non avresti ragionando la tua SEO – ad esempio – in termini di keyword density ed altre amenità simili.

La qualità è contrapposta alla SEO, in molti casi?!

Le aziende, in molti casi, contrappongono la qualità tipica del linkaggio automatico e della popolarità indotta ad un discorso di SEO “brutale”, ovvero tendono a pensare (secondo me sbagliando grossolanamente, e mostrando scarsa visione a lungo termine) che la SEO sia un piede di porco, e Google sia un negozio di gioielli con la serranda abbassata. Esistono addirittura manuali di link building che, tanto per fare un altro esempio, danno per scontato che le aziende debbano pensare soltanto a farsi scrivere articoli “che convertono”, e questo comporta indirettamente non investire sulla qualità, un po’ per partito preso, un po’ perchè si sentono imprenditori cinici e pensano che fare l’imprenditore cinico sia una cosa genericamente fantastica. Ora, se è vero che non scriviamo contenuti per partecipare ad un contest letterario, è anche vero che la qualità paga – come dicevo all’inizio – e che soprattutto una cosa non esclude l’altra. Se faccio contenuti di qualità Google può premiarmi e questo andrà a vantaggio del mio business, in genere; se faccio solo markette e penso a fare solo markette, sono un buon pubblicitario online, non certo un SEO.

Sul web la qualità di quello che si fa paga sempre, anche se a volte nei tempi lunghi – ma soprattutto secondo me, la qualità è legata ad un “saper fare” la SEO che molti hanno dimenticato, o magari preso sottogamba. La mia idea, in altri termini, è che la qualità sia legata alla search intent in primo luogo, e che la buona SEO è fatta anche di contenuti che vengono incontro alle esigenze di quella stessa search intent.

Tutte le volte che ho fatto questo discorso vedo sopracciglia che si alzano oltre la media, mi guardano come se fossi fuori dal mondo e, insomma, non sempre riesco a far prendere piede ad un discorso del genere. Fatico a capire perchè ma, come sempre, parlarne sul blog aiuta quantomeno a porre la questione in una certa ottica, possibilmente nuova e utile per tutti.

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Salvatore Capolupo

Ingegnere informatico dal 2006.