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Sito penalizzato da Google: cosa fare?

Verifiche di penalizzazione

Se il tuo sito non viene indicizzato o non è visibile su Google, leggi quello che segue e potrai chiarirti le idee. Uno dei comportamenti più difficili da affrontare in ambito SEO, infatti,  riguarda il caso in cui il nostro sito non appare per nulla o viene ignorato dai motori di ricerca. Proviamo a capire anzitutto se si tratta di un problema di indicizzazione oppure di posizionamento, e poi cercheremo di capire meglio che tipo di penalizzazione ti possa aver colpito.

Problema di indicizzazione

Nel primo caso, la pagina non sarà  visibile per nulla, cioè se la pagina che non è indicizzata fosse ad esempio

https://trovalost.it/pagina-che-non-se-trova-1265

cercando su Google l’URL tra virgolette non troveremo nulla:

“https://trovalost.it/pagina-che-non-se-trova”

(le eventuali corrispondenze trovate sono da considerarsi accidentali, in questo caso). In questo caso bisogna attendere che il crawler di Google faccia il proprio lavoro oppure, al limite, forzare l’indicizzazione della pagina (funzione Invia all’indice della Search Console).

Problema di posizionamento

Nel secondo caso, invece, il test precedente restituisce una pagina – per cui siamo presenti nell’indice di Google – ma il problema è il ranking che è scarso o non all’altezza delle aspettative. Qui è invece necessario un lavoro specializzato SEO e, con buona probabilità , anche di link building – vedi anche Come diventare primi su Google.

In questi casi, comunque, è difficile capire con certezza da cosa dipenda, ma le casistiche più comuni sono in effetti le seguenti:

  1. il sito non appare per alcune ricerche per cui si sta ottimizzando;
  2. il sito non appare su Google per nessuna ricerca (esempio: cercando il nome della home page)

Non è agevole determinare con certezza cosa possa causare un determinato comportamento, specialmente se non avete notifiche da parte di Google, per cui il responso sul vostro sito andrebbe emesso sulla base di un mix di esperienza ed analisi mirata.

Se avete problemi di visibilità  su Google, comunque, non si tratta necessariamente di una penalizzazione, per quanto gli indizi possano convergere, a seconda delle circostanze, in questa direzione.

Check con Google mediante operatore site:

Ammettiamo che la chiave di ricerca sia X, tanto per fare un esempio, e che il sito sia ABC.it: il primo check da fare è verificare che compaia qualcosa nella ricerca locale del sito, quindi cerchiamo su Google ad esempio

X site:ABC.it

Se esce almeno un risultato, il primo di questi è solitamente quello “candidato” ad arrivare nella SERP per la ricerca di X. Se non esce nulla, invece, è probabile che:

  1. il sito non sia indicizzato perchè molto giovane (leggi: come indicizzare un sito);
  2. il sito non sia visibile su Google perchè ci sono competitor molto forti (in questo caso siamo solo surclassati dagli altri, ma non siamo penalizzati);
  3. il sito sia stato penalizzato a seguito di comportamenti scorretti, o non in linea con le indicazioni per webmaster di Google.

Analizzare il passato del nostro sito, quindi, diventa indispensabile per capire come comportarsi. Ci sono situazioni in cui la soluzione è più semplice di quello che si possa pensare, del tipo: se non apparite per la ricerca di X nel sito ABC.it, è opportuno verificare che nel sito ABC.it sia presente da qualche parte… la stringa X :-).

Nel secondo caso, la situazione è più “drammatica”: il nostro sito non compare su nessuna ricerca, neanche cercando il nome del sito:

ABC.it

Se da una ricerca del genere non esce fuori nulla, è molto probabile che il sito non sia stato indicizzato (ad esempio per un sito giovane, in presenza di attributi NOINDEX, NOFOLLOW scorretti) oppure che, come nel caso precedente, sia stato indicizzato. Ci sono casi che ho affrontato in cui, ad esempio, il dominio pagava lo scotto di penalizzazioni precedenti (precedenti SEO senza scrupoli, o webmaster non troppo esperti), di cui spesso il proprietario attuale non poteva sapere nulla, come ho raccontato quando ho comprato un dominio con molti backlink ed una certa anzianità  (ne parlo nel post Domini che generano traffico “da soli”, una prova che smentisce parecchia mitologia).

Ci sono molti altri casi intermedi che possono capitare su un sito, e non è agevole discuterne in maniera approfondita in un post – meglio una consulenza. Ad ogni modo, prima di arrivare a conclusioni affrettate, è bene controllare che non ci siano notifiche di penalizzazioni manuali su Google (se ci sono, le trovate nella Search Console), ed eventualmente analizzare tutti i backlink in ingresso e valutare se non sia il caso di effettuare un disavow dei link sospetti.

Come togliere una penalizzazione di Google ad un sito

La rimozione delle penalizzazioni di Google è forse uno degli aspetti che preoccupano maggiormente i webmaster, specialmente quelli meno orientati alle problematiche di ottimizzazione SEO.

Di fatto, è bene tenere presente che la rimozione di una penalizzazione – e parlo di quelle notificate esplicitamente da Google, non di quelle presunte più o meno ragionevolmente – passa per una serie di fasi consecutive facilmente inquadrabili in questi termini. Scrivo questo perchè, molto francamente, mi da’ molto fastidio quando un cliente entra nel merito del prezzo che gli ho proposto, magari dicendo in modo subdolo che starei addirittura pagando troppo, ovvero (detta in termini eleganti) svilendo il mio lavoro stesso. Magari con questo articolo, per una volta privo di considerazioni tecnico-strategiche, riusciamo a mettere (almeno un po’) le cose a posto.

Cosa sono le penalizzazioni di Google

In genere si tratta di situazioni in cui Google declassa dai risultati di ricerca una o più pagine web di un sito, perchè sta ravvisando delle scorrettezze – tecniche di spam, ad esempio, ma anche siti web poco sicuri o violati da malware. In questo Google è un giudice abbastanza difficile da mettere in discussione, per cui c’è poco da fare: bisogna adattarsi alle sue regole. Le penalizzazioni possono essere sia manuali (cioè fatte miratamente sul vostro sito, e che vengono notificate nella Search Console se il vostro sito è registrato: esistono circa una decina di penalizzazioni manuali, ad oggi) che algoritmiche (che invece sono provvedimenti generali ad evitare che più di un sito contenga pagine di bassa qualità  e finisca in prima pagina. Esistono varie penalizzazioni algoritmiche, di cui Panda e Penguin sono le più note, soprattutto a chi lavora nel content marketing su Google).

I rimedi per le penalizzazioni sono dei più vari, e possono riguardare interventi sul sito, modifiche all’approccio su contenuti, layout, tema e coinvolgimenti degli utenti.

Tipi di penalizzazioni

Noto una certa confusione sul modo di esprimersi da parte dei SEO meno tecnici, per cui mi pare opportuno partire da questo fatto. Sento webmaster parlare di “penalizzazioni” un po’ a casaccio, in molti forum e discussioni live, ma in genere le penalità  di Google sono un fatto estramamemente circoscritto, anche se a volte difficile da individuare. è comunque opportuno non partire mai dal presupposto di aver ricevuto una penalizzazione in mancanza di prove concrete dalla Search Console: si rischia di sviare dal problema, senza contare che a volte neanche rispondo alle mail che partono da questo presupposto senza aver ricevuto una notifica ufficiale da Google.

Quando si parla di penalizzazioni, infatti, si possono in genere fare due distinzioni fondamentali:

  1. le penalizzazioni manuali, che sono notificate esplicitamente nella Search Console di Google, e che ricadono solitamente nelle seguenti casistiche tipiche: Sito compromesso, spam generato dagli utenti, host gratuiti contenenti spam, markup contenente spam, Link non naturali che rimandano al tuo sito (link in ingresso penalizzanti), Contenuti scarni o con nessun valore aggiunto, Cloaking, Link non naturali dal tuo sito (link che state dando voi a qualcun altro), Puro spam, Immagini compromesse, Testo nascosto e parole chiave in eccesso (keyword stuffing). Google chiama solitamente queste penalizzazioni “azioni manuali” (fonte).
  2. le penalizzazioni algoritmiche, che invece non vengono notificate in modo esplicito, e per le quali solitamente si sfruttano strumenti esterni che possono aiutare a capire se sia il caso (la certezza non c’è, comunque). Tipici casi di penalizzazioni algoritmiche possono essere, ad esempio:
    1. Google Penguin, che penalizza i siti web che facciano uso di schemi di link vietati;
    2. Google Panda, che penalizza i siti web che contengano thin content, cioè contenuti brevi o scopiazzati (ad esempio al solo scopo di inserire link affiliati o annunci)

Le penalità  manuali sono più difficili da evitare a priori, ma sono relativamente più agevoli da risolvere. Quelle algoritmiche sono abbastanza complicate o impossibili da checkare, e generalmente fanno riferimento a bad practices generalizzate sui siti web.

Come verificare la presenza di penalizzazioni di Google

Verificare la presenza di una penalizzazione di Google sul proprio sito è un problema concreto per molti di noi: di fatto, soprattutto le penalizzazioni algoritmiche (quelle legate a Panda, Penguin e simili) sono spesso vittima di equivoci di ogni tipo, rispetto a quelle manuali che, invece, sono chiaramente notificate nella Search Console.

Se il vostro sito è stato penalizzato non sarà  per forza ovvio accorgersene , e ci sono due cose che bisogna considerare prima di ogni altra:

  1. per le penalizzazioni manuali, lo strumento affidabile al 100% per verificare la penalizzazione (e chiedere la rettifica) è la Search Console (Traffico di ricerca->Azioni manuali).
  2. per le penalizzazioni automatiche tipo Panda/Penguin/…, non sembra esistere uno strumento di notifica automatico altrettanto affidabile. Molti SEO sfruttano dei tool esterni per verificare eventuali penalizzazioni, ma che – a mio avviso – sono più utili come semplici diagnostiche e sono spesso inaffidabili o poco precise.

Nell’ambiente SEO si tende ad ipervalutare l’effetto delle penalizzazioni di quest’ultimo tipo, soprattutto se su larga scala: in genere, leggere blog SEO e ritenere di essere vittime di una penalizzazione per questo motivo significa avere una visione molto angusta e semplicistica della SEO.

In molti anni, mi è capitato di sentire spesso (anche da professionisti autorevoli) che un calo di traffico su Google Analytics fosse associato ad una penalizzazione certa, specie in corrispondenza del roll-out delle varie versioni di Panda o Penguin. Ma come si fa essere certi di una penalizzazione se non c’è, ad oggi, uno strumento ufficiale di Google che la possa rilevare in automatico? Questa è, insomma, un’assunzione arbitraria che va corroborata da un insieme minimo di indizi, e che vedo attribuire invece con troppa leggerezza; il rischio è quello di intervenire sulle cose sbagliate, e perdere il proprio tempo in attività  inutili.

Trovo da sempre quest’ultimo approccio privo di sostanziale fondamento, e questo soprattutto perchè datare l’uscita di un nuovo algoritmo penalizzante, e soprattutto metterlo in relazione con certezza al proprio sito, è difficile se non impossibile in molti casi. In linea di massima, preferisco checkare la certezza delle penalizzazioni manuali in primis: prima cosa, quindi, è quella di controllare il Webmaster Tools, e controllare che non ci sia nulla alla voce “Traffico di ricerca” ->”Azioni Manuali“.

In caso pero’ non sia possibile trovare nulla, più che controllare l’andamento del traffico (che può avere molteplici cause collaterali, cioè non legate ad una penalizzazione) vado a verificare anzitutto che il sito sia ancora indicizzato (usando l’operatore site:nomesito.it su Google) e soprattutto vado a verificare che il sito sia indicizzato per una qualche chiave di ricerca molto popolare o su cui si è lavorato in passato:

site:nomesito.it chiave

dove ovviamente bisogna inserire il proprio sito al posto di nomesito.it e la ricerca di interesse al posto di chiave. Se non uscisse alcun risultato da una delle ricerche indicate (in particolare dalla seconda), è altamente probabile che il sito sia stato penalizzato, oppure sia stato rimosso per comportamenti che violano le istruzioni per webmaster; resta comunque non banale identificare la penalizzazione, ovvero il problema preciso, che affligge il sito.

Tutto dipende dall’esperienza e dalle capacità  del consulente, a quel punto: ma non bisognerebbe mai perdere di vista il nocciolo della questione, che è sempre quello di massimizzare il traffico al sito e “spingere” al meglio i suoi contenuti.

Il video seguente di Matt Cutts, già  qualche anno fa, tende a chiarire i vari equivoci sull’argomento.

 

Come risolvere una penalità  manuale da Google

Quando si riceve una penalizzazione esplicita da Google (azione manuale) c’è il lavoro più concreto da fare, ovvero:

  1. è necessario anzitutto accedere alla Search Console del sito, per cui dovrete fornire al vostro consulente (o fare voi stessi, in caso) l’accesso alla piattaforma, e prendere nota della notifica esatta che avete ricevuto per il sito critico;
  2. è necessario esportare la lista di link in ingresso al sito, che viene tipicamente importata come file Excel;
  3. a questo punto ci sono due sotto-casi fondamentali: il primo riguarda le penalità  da link in ingresso (Link non naturali che rimandano al tuo sito), il secondo quelle da link in uscita (Link non naturali dal tuo sito).
  4. Se avete una penalità  a livello di backlink in ingresso significa che è stata fatta una link building troppo spinta, oppure che qualcuno possa avervi fatto penalizzare apposta: difficile dirlo, ma l’aspetto davvero spinoso è legato alla procedura necessaria per uscire dal problema. Si tratta infatti di analizzare uno per uno i backlink in ingresso riportati dalla Search Console, al fine di individuare quelli sospetti o malevoli; la valutazione non è automatizzata, richiede un criterio di massima da seguire ed un certo senso critico. Si crea una bella lista (file di testo o Excel) di backlink sospetti, e poi si può decidere di A) contattare i webmaster e chiedere di rimuovere i link (ed in più metà  dei casi non funzionerà , purtroppo) B) inviare un file formattato per il disavow di Google, e “prendere le distanze” da quei link in modo ufficiale (consigliato). Una procedura, quest’ultima, che è anche un po’ di imbarazzante (per alcuni) “ammissione di colpa” – del resto spesso capita di ereditare situazioni critiche su cui non avete responsabilità  dirette – ma che mi pare l’unico modo per uscirne indenni. Si dovrà , dopo aver concluso la raccola link sospetti (il che può richiedere, a seconda del volume di dati, da diversi giorni ad un paio di settimane di lavoro), passare a fare una richiesta di riconsiderazione del sito web sempre mediante Search Console (ex Webmaster Tools di Google). Essa andrà  formulata in modo opportuno evidenziando, soprattutto, il lavoro che è stato eseguito e la situazione eventualmente ereditata: tanto vale essere molto sinceri nella lettera di accompagnamento, aggiungo sempre. Se la richiesta viene accettata, il lavoro si conclude qui; in caso contrario è necessario ripetere le fasi 3 e 4 finchè non vanno a buon fine. La guida per l’uso dello strumento del disavow tool è questa, comunque.
  5. In caso di penalizzazioni da link in uscita, la procedura è leggermente più agevole: si tratta di individuare i link in uscita dal vostro potenzialmente dannosi (Google non vi dirà , neanche qui, “chi” stia penalizzando e a volte neanche “dove” precisamente), e direi che in questi casi il 90% delle responsabilità  ricade sui link sitewide, cioè quelli diffusi su tutte le pagine mediante widget o footer. Se sono nei widget, suggerisco di rimuoverli e basta; se invece sono nei footer, si tratta di modificare il theme via HTML / PHP (la cosa non è per forza banale: in WordPress ad esempio è richiesto di creare il theme child, altrimenti le modifiche si perderanno!) Diversamente, una volta mi è capitato di sfruttare un crawler di pagine open source e di lanciarlo sul sito critico per individuare tutte le occorrenze di pagine compromesse. In genere, quello che va fatto è estrarre dal vostro sito (mediante opportuni software, ma anche manualmente alla peggio) tutti – senza eccezioni ! – i link esterni delle vostre pagine, per poi (anche qui) individuare quelli che siano di natura manipolatoria PageRank e simili; è chiaro che questa è la parte più corposa del lavoro, e richiede una certa esperienza al fine di individuare quello che non va, oltre al tempo materiale di analizzare i dati. Se avete venduto dei link a terzi, per inciso, Google vi sta molto probabilmente invitando a rimuoverli. Nella mia esperienza, rimuovendo questi link dannosi ed inviando la richiesta di riconsiderazione a Google, sarà  possibile rientrare alla normalità . Per capirci ancora meglio, i dettagli di un lavoro di questo tipo, da me svolto un po’ di tempo fa, si trovano nel mio vecchio articolo del 2013 Escape from Google manual penalties (in inglese). Come avete visto, è un lavoro lungo che richiede tempo e competenza.
  6. Una piccola nota ulteriore: in genere le penalità  manuali di Google possono riguardare A) tutto il sito (tipico delle segnalazioni di Sito compromesso) B) solo una parte dello stesso (tipo delle penalizzazioni da link in ingresso / uscita). Non sempre è facile orientarsi a capire “cosa” modificare, per cui in caso di difficoltà  tanto vale segnalare tutto o quasi (backlink malevoli in ingresso) o al limite cambiare theme o CMS (le penalità  da link in uscita si risolvono spesso, anche se non sempre, facendolo).
  7. Molti colleghi mi hanno fatto notare, in passato, come effettivamente non ci sia “prova” concreta del fatto che la penalizzazione venga rimossa. Questo secondo me è vero in parte, anche perchè se le cose si fanno come si deve Google notifica il rientro alla normalità . Per le penalità  algoritmiche, invece, il discorso è completamente diverso ed effettivamente, in quei casi, l’obiezione ha più senso. Tra l’altro, aggiungo, una penalità  rimossa oggi non è detto che non possa tornare domani!

Attenzione al tipo di penalità  che ricevete

Se le penalizzazioni di primo tipo sono banali da rilevare (basta verificare nella propria Search Console di non avere avvisi del genere, o di non avere mai ricevuto email), quelle di secondo tipo sono molto più subdole e, in genere, difficili o impossibili da rilevare. Vedo software rilevare penalità  come per magia, e colleghi legare con eccessiva sicurezza a Penguin, Panda o altri fenomeni analoghi soprattutto i cali di traffico dei siti, quando in realtà  nel caso di penalità  algoritmiche non c’è modo di ricondurre con certezza il problema ad una causa specifica.

Ci sarebbe tanto da dire in questo contesto, ma in questa sede basti sapere che:

  1. le penalità  algoritmiche da Google Penguin tendono a penalizzare gli schemi di link, che poi nella pratica spesso si riconducano a link building piuttosto grezze, a volte rilevabili ad occhio nudo (se uno ha “l’occhio” allenato, ovviamente 🙂 ); per la cronaca, Penguin colpisce ciclicamente i risultati di ricerca dal 2012 in poi (si contano più o meno 7 aggiornamenti certi ad oggi). Si tratta di una delle penalità  più popolari in assoluto, che se da un lato conferma che inserire tanti link in ingresso al proprio sito sia un fattore determinante per il ranking, dall’altro invita indirettamente a fare un po’ di attenzione nel farlo.
  2. le penalità  algoritmiche da Google Panda riguardano il fenomeno delle content farm, cioè i siti che riproducono / scopiazzano (spesso via software) contenuti altrui allo scopo ad esempio di trarne vantaggio in termini di inserzioni pubblicitarie; la qualità  di questi siti è bassa, l’utilità  per gli utenti è spesso prossima allo zero. Il problema principale di questi siti copia è che a volte riescono a posizionarsi meglio degli originali, per quanto il fenomeno mi sembri piuttosto in calo negli ultimi tempi. AI tempi, Google pubblicò un celebre articolo (Indicazioni per la realizzazione di siti di qualità ) in cui indicava indirettamente i criteri perchè un sito desse “fiducia” in tal senso: articoli scritti in modo attendibile, scritti da esperti o appassionati del settore, nessuna presenza di duplicati approssimati ( articoli pubblicati in gran numero e con piccole variazioni del testo), affidabilità  dei sistemi di pagamento, assenza di errori ortografici grossolani, più altre metriche più difficili da misurare come autorevolezza del sito, affidabilità , invasività  degli annunci ed altro ancora.

In genere, poi, ricordatevi che le penalità  algoritmiche riguardano ufficialmente percentuali di query molto basse, spesso inferiori all’1% di quelle globali (ovvero non solo di quelle italiane!): questo mi suggerisce, da sempre e fino a prova esplicita contraria, che sia necessaria una enorme cautela nell’addurre cause a fenomeni. Del resto, anche se tutti i siti di un campione sono evidentemente stati colpiti da uno dei suddetti, non è affatto detto che la cosa riguardi anche il nostro sito (anche se, ovviamente, è importante sapere dell’esistenza di questi rischi).

Si noti, per inciso, che la recente casistica delle notifiche ai siti senza HTTPS non sembri ricadere in questo contesto, almeno non ad oggi: per cui non si tratta, in quel caso, di una penalità  nel senso qui spiegato.

Come risolvere una penalità  algoritmica da Google

Difficile dirlo, ogni sito fa storia a sè e richiede tempi e modi molto diversi di intervento (incluso lasciare congelati alcuni aspetti, ridurre il numero di pagine inutili, migliorare le pagine esistenti e cosଠvia). Non voglio ovviamente dire che le penalità  algoritmiche siano fuffa, ovviamente, certo è che sono l’aspetto meno misurabile (e per questo, secondo me, meno interessante) in ambito SEO. Nella mia logica SEO mi pare che si debba lavorare di più sugli aspetti obiettivamente imprescindibili di un sito, come usabilità , utilità , originalità  del sito e poi di conseguenza si possa evitare di incappare in penalizzazioni algoritmiche. Possono volerci anche molti mesi di duro lavoro, purtroppo, e non c’è modo di evitarlo e di garantire il risultato positivo.

Conclusioni

In questi casi, in effetti, se ci tenete al vostro posizionamento su Google e non avete tempo, modo e mezzi per fare il lavoro da soli, è consigliabile rivolgersi ad un consulente esterno che faccia questo lavoro per noi; ovviamente sul prezzo ognuno ha le proprie politiche e di questo, se ci fosse bisogno di dirlo, bisognerebbe avere più rispetto.

Faccio giusto un appunto a chi ha scritto, in passato, articoli sul prezzo più giusto da applicare per una consulenza X, e questo (oltre a sembrarmi una cosa in certi casi poco etica, e più che altro “chiacchiere da bar”) è abbastanza fine a se stessa, fuorviante e – detta in modo brutale – credo non sia utile a nessuno.

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