Quando il cliente dice “è una cazzata”, di solito non lo è: vuole solo risparmiare

In questi mesi sto facendo una lettura molto gradevole durante le mie serate libere: Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes. Non proprio un saggio su cui costruire discussioni tra amici o da proporre per attaccare bottone con la tizia della porta accanto, diciamo, pero’ qualche spunto interessante lo sta dando. Leggere è sempre una cosa formativa, anche a costo di passare gli occhi su paragrafi di idiozie (non che sia il caso di Barthes, beninteso); aiuta a formare spirito critico e a far rivedere le proprie convizioni sotto occhi diversi.

L’amore per il mio lavoro è un dato di fatto che ho imparato a gestire ed accettare, in questi anni di partita IVA e “vita vera”; del resto gli inganni, sia nel lavoro come nell’amore, devono farci tenere sempre la guardia molto alta. Esiste una categoria di clienti che ho da tempo fatto fuori dai miei contatti, anche quando insistono o risbucano fuori: si tratta dei clienti tirchi e ambiziosi, una categoria più diffusa di quanto possa sembrare a prima vista. Sono quelli che ti diranno:

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sì ma questo sito è una cosa semplice, nulla di complicato;

e che ci vuole si mettono due parole chiave anche a caso ed il sito si posiziona;

tu sei bravissimo ma non mi fare spendere tanto

Di solito queste frasi superficiali nascono verità difficili da far loro ammettere, ma traducibili come:

sì ma questo sito è una cosa semplice, nulla di complicato; -> Voglio spendere poco

e che ci vuole si mettono due parole chiave anche a caso ed il sito si posiziona. -> Voglio spendere poco

tu sei bravissimo ma non mi fare spendere tanto -> Voglio spendere poco

Voglio spendere poco.

Del resto non potrebbe che essere così: come fa a dire che è semplice se non ne sa nulla, visto che gli esperti siete voi? Diffidate dai clienti che vorrebbero saperne più di voi: è un’esperienza peggiore e più pericolosa che guidare in auto sotto effetto di allucinogeni (non che l’abbia mai fatto, ma l’immagine rende l’idea, penso).

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Salvatore Capolupo

Ingegnere informatico dal 2006.