Caso studio: pagina posizionata per una keyword non presente nel testo del sito

È da un po’ di tempo che non pubblico un caso studio, e mi sembra ora di farlo: giusto stamattina stavo spulciando i dati della Search Console di Google, e tra le ricerche per cui sono riuscito a posizionarmi nell’ultimo mese ne è emersa una che mi ha colpito immediatamente.

Ho pensato subito che meritasse un breve approfondimento perchè, di fatto, smentisce anche uno dei classici “miti da sfatare” in ambito SEO, ovvero il fatto che se voglio posizionarmi per una keyword specifica debba per forza inserirla nel testo della pagina, nel title, nella metadescription, magari in qualche tag di heading H1, H2, sulle anchor text che puntano alla pagina e via dicendo. In genere, ho sempre sostenuto, non è automatico che sia così: in realtà non è nemmeno una vera e propria tecnica di posizionamento, ormai, dato che ho l’impressione che Google sia sempre “un passo avanti” rispetto a qualsiasi speculazione che si possa fare a riguardo.

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Su un sito di mia proprietà, andando ai fatti, ho notato che mi ero posizionato per una keyword mista, tipicamente di coda lunga, che contiene una parola chiave che non ho mai utilizzato in quel sito.

L’ho evidenziata qui di seguito:

cosa che poi effettivamente risulta anche su Google, ad oggi:

In molti casi ci si posiziona per query “random” magari anche solo per il fatto che a Google “scappa” di farlo, magari in base ad associazioni sbagliate, a geolocalizzazioni della pagina Google My Business sballate, a backlink fuori tema che tendono solo a fuorviarlo. Ma non è questo il caso, tant’è che parliamo di una fonte di traffico dai motori di ricerca che, ormai da un po’, sembra funzionare in modo egregio.

Lo ribadisco: non ho mai usato il nome di quel brand nel mio sito, nè casualmente nè volutamente. Non conoscevo nemmeno il sito fino ad oggi, a dirla tutta, ed ero piuttosto sicuro di non averlo mai citato in precedenza. Di fatto, ad oggi, è più o meno in quarta posizione, senza considerare gli snippet dei video che mi compaiono prima e quello che sembrerebbe il sito ufficiale dell’azienda. Addirittura la pagina si è posizionata sopra le recensioni della pagina Facebook, e questo sembrerebbe testimoniare che in qualche modo c’è un livello di trust nel sito che è forse salito per via dell’intervento di un operatore umano, che ha valutato (sempre nel campo delle ipotesi plausibili) che quella pagina rispondesse alla search intent di chi cerca quella cosa o comunque ha necessità di trovare informazioni in merito.

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La cosa curiosa è che non solo non compare la key di coda lunga nella pagina, ma non compare da nessuna parte (neanche nel sito) alcuna derivata, con l’eccezione di “sito affidabile” che è un po’ la parte della keyword che ne rappresenta l’essenza, l’aspetto clou se vogliamo.

Google quindi ha sicuramente “ragionato” in modo abbastanza smart, suggerendo all’utente di visitare quel sito perchè, per quanto indirettamente risponde alla domanda della query (in effetti su quella pagina fornivo dei criteri generali per capire se un qualsiasi sito fosse affidabile, non certo uno nello specifico). E questa cosa sembra emergere anche con l’operatore site: (che ultimamente fa un po’ le bizze, non sempre è credibile al 100% ma questa volta lo è):

Peraltro se andiamo a cercare la query clou, più generale della precedente, escono più pagine “potenzialmente candidate” a posizionarsi, cosa che mi sembra sintomatica anche di un altro aspetto: ovvero che Google ha “eletto” la prima come quella in grado di soddisfare appieno (o quasi) le esigenze di chi faccia quella ricerca, ovviamente a suo insindacabile giudizio. Non l’ha associato ad un sito “non sicuro” o ad un sito “truffa”, proprio perchè “secondo lui” (e probabilmente in base a vari fattori esterni al sito) la gente vuole sapere (!111!!) se il sito è affidabile o meno.

La SEO classica ragiona su paradigmi monolitici, che spesso si rivelano funzionali nella loro semplicità (e in molti casi no): one key one page, ad esempio, impone di ottimizzare ogni pagina per una singola e sola parola chiave, cosa che aiuta a strutturare meglio i siti nell’ambito di alcune ottimizzazioni onsite. È una linea guida, peraltro, che non è nemmeno applicabile alla totalità dei casi: e per capirlo, ancora una volta, basta guardare la propria Search Console, e rilevare che su una stessa pagina dei siti che si comportano bene lato SEO arrivano di fatto ricerche di vario genere, che possono essere considerate di coda lunga. Anche se la corrispondenza tra pagine e chiavi non sempre è netta, in genere lo schema generale è il seguente: più keyword che, una volta posizionate, portano traffico sulla stessa pagina. Questo succede soprattutto quando l’intento di ricerca (search intent) è generalizzato, ed è quello che è successo in questo caso: ho scritto un articolo su come riconoscere un sito affidabile, e mi è arrivato (e mi arriva tuttora) traffico da una key di coda lunga su come capire se il sito X è affidabile. A prescindere dalle corrispondenze e dei “puzzle” di parole che molti di noi, ogni giorno, cercano ostinatamente di risolvere e far funzionare.

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Abbiamo un caso di many keys one page, in pratica, forse più comune di quello che la teoria in ambito SEO tende – secondo me impropriamente – a dare per scontato.

Tanto per non rimanere sul vago, ho riportato di seguito le keyword che si posizionano in questo caso, sempre puntando quella pagina come “risposta” in SERP: ed è una quantità impressionante di query a basso traffico che pero’, sommato, sembrano produrne un bel po’. Poco traffico, ovviamente, ma quantomeno stabile nel tempo, e sul quale spero di poter godere ancora per un po’ (ovviamente dopo questo articolo mi aspetto molti articoli concorrenti che proveranno a fare lo stesso 🙂 ).

Quel tutorial (one page) risponde a varie domande (many keys), e si posiziona più o meno bene per molti search intent, che sono quelli effettivamente espressi dalle seguenti “domande” a campione, che ho estratto dai dati un po’ a campione e che sono, quasi sempre, significative. A prescindere dalla quantità di traffico che portano, peraltro, che è un aspetto importante ma non si può astrarre e prenderlo come fosse un totem da adorare: la SEO spesso e volentieri funziona meglio (e spesso soltanto) sulle specificità della coda lunga (cioè non le ricerche generiche tipo “sito di scarpe” bensì “migliori siti di scarpe”, “siti di scarpe consegna in giornata” e così via). Sembra un giro di parole ma, per una volta, sembra che il posizionamento sia avvenuto sulla coda lunga ma con una guida del tutto generico (sulla quale ho lavorato, per inciso, per almeno un anno, a fasi alterne).

La prossima volta che vi diranno che non si ottengono risultati in ambito SEO prima di 6 mesi, ci crederete? 🙂

Giusto un appunto finale: se provate a fare queste ricerche sul vostro Google, è plausibile che vi appaiano risultati di tipo e/o ordine diverso. Al di là del fatto che i ranking variano nel tempo (questo sembrerebbe abbastanza “stabile”, per la verità), ogni utente che cerca su Google tende ormai a vedere SERP sempre più personalizzate, in funzione di vari fattori – tra cui:

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  1. le ricerche precedenti che avete fatto;
  2. il fatto che siete, o meno, loggati nel vostro account Google;
  3. in base ai cookie, alla posizione geografica rilevata via browser o via GPS;
  4. non ultimo come importanza, le SERP personalizzate dipendono anche dal vostro comportamento: dal fatto che clicchiate o meno su un risultato, da quanto tempo restiate a leggere una pagina e così via.

Salvatore Capolupo

Ingegnere informatico dal 2006.